ARIEL di Giancarlo Corsetti

La seconda stella della costellazione dell’Arco fu colpita, tre milioni di anni fa, da un meteorite gigantesco che ne provocò l’uscita da quell’insieme di stelle.
La stella in questione si chiamava Ariel.
Ariel perse, allora e per sempre, ogni contatto con l’Arco; la forza di gravità delle altre stelle non fu abbastanza intensa da riuscire ad impedire il distacco; Ariel non fu distrutta dal meteorite, ma scagliata a mille anni luce di distanza dalla sua costellazione d’origine.
Fu così che quell’agglomerato di stelle perse per sempre la sua caratteristica forma di arco, di cui Ariel era il vertice.
Tuttavia, gli astronomi moderni -lavorando con telescopi e computer eccezionali- sanno che in quella parte del cielo dove ora s’addensa il vuoto cosmico c’era, all’origine, la stella che noi chiamiamo Ariel.
Ariel fu, dal momento del distacco, una stella solitaria.
Dopo un volo di mille anni luce, riuscì a fermare la sua deriva in una zona del cosmo in cui non c’erano altre stelle, ma solo ammassi di minerali e gas che furono detti, dagli uomini, pianeti e satelliti.
Le altre stelle dell’Arco non stettero a guardare e, con preghiere e canti, chiesero all’Architetto di riportare Ariel con loro. Ma l’Architetto, interrogato, non rispose.
Ariel, che amava brillare all’unisono con le sue amiche stelle, divenne triste e pianse.
“Se non posso brillare con le mie sorelle, a cosa mi serve questa luce?”, si domandò.
Ma, nonostante la sua tristezza, non smise di brillare e di dar luce a quei pianeti e satelliti che le giravano intorno, e che grazie ad Ariel uscirono dall’oscurità.
Passarono milioni di anni e il fuoco che bruciava nel centro di Ariel iniziò ad affievolirsi.
Era stata la stella più splendente della sua costellazione; così, mentre le altre, che davano meno luce, bruciavano più lentamente, Ariel -prima fra tutte- fu sul punto di spegnersi.
Le altre sei stelle dell’Arco seppero che Ariel stava morendo, e si rivolsero di nuovo all’Architetto, chiedendo e supplicando a gran voce che Ariel vivesse ancora.
Stavolta, l’Architetto rispose: “I miei disegni non sono cose che appartengono a voi. Ariel tra poco finirà il suo fuoco e dovrà perire nel buio. La sua massa si farà polvere e sarà dispersa nell’Universo”.
A quella risposta le altre stelle piansero, ricordando che per buona parte della sua esistenza la loro compagna Ariel era rimasta sola, ed adesso sola moriva.
Chiesero, allora, all’Architetto di mostrar loro il punto in cui Ariel si trovava.
L’Architetto, che conosceva l’Universo come sé stesso, indicò il quadrato di cosmo in cui, se avessero potuto guardare a mille anni luce di distanza, avrebbero visto Ariel.
Le stelle ripresero fiducia, e si chiesero cosa avrebbero potuto fare per aiutare la loro amica; dopo un consiglio durato tre orbite gravitazionali, scelsero di fare una cosa mai fatta prima.
Le stelle dell’Arco decisero di bruciare più forte per fare più luce, affinché Ariel, anche se infinitamente lontana, potesse vedere il loro saluto.
Così, non morirà sola” – pensarono.
Alla mezzanotte del ferragosto, dunque, le stelle dell’Arco, essendo giunto il momento convenzionale, bruciarono con tutte le loro forze, illuminando tutto il cielo loro intorno.
Quella luce, tre volte più forte del normale, arrivò fino ad Ariel, che nel mentre moriva.
Il suo ultimo pensiero, quando distinse la forma dell’Arco che le sue amiche tracciavano nel cielo, fu: “Finalmente. Sono di nuovo a casa” – e spirò felice.
Il suo corpo, dopo pochi minuti, si disfece tutto, fino a ridursi a mille granelli di polvere che, portati dal vento dell’Universo, iniziarono a percorrere il cosmo, in lungo e in largo.
Le altre stelle, che avevano dato l’ultimo saluto ad Ariel, iniziarono a spegnersi anch’esse.
Lo sforzo fatto, per stare vicino alla loro sorella facendo più luce possibile, aveva consumato troppo gas e troppa massa. Così anche per le altre sei stelle iniziò il declino.
Quando si avvidero che anche la loro fine s’appressava, ebbero paura e gemettero.
Perché, Architetto, dobbiamo morire così presto anche noi? Perché paghi il nostro amore per Ariel con la morte?” – chiesero, desolate, all’Architetto.
Ma Questi, come suo solito, non rispose.
Non tutte le stelle dell’Arco erano della stessa grandezza. Fu così che esse non si spensero simultaneamente, ma in ordine, dalla più piccola alla più grande.
Inesorabilmente, ognuna di loro fece i conti con l’abbandono e l’oscurità.
I loro corpi, spenti, si sfaldarono e caddero; il vento cosmico le prese e le disperse, in tutto l’Universo. Sembrò davvero finita, per la costellazione dell’Arco.
Ma l’Architetto, che aveva pianto vedendo quanto grande era stato l’amore delle stelle, che avevano dato la vita per salutare un’ultima volta Ariel, non volle gettarle nel nulla cosmico.
Diede ad ognuna delle loro particelle un suono, in modo che esse, volteggiando nello spazio, vibrassero e risuonassero. E quando, incontrandosi, esse suonavano insieme, vi era una melodia, che anche oggi, di notte, gli innamorati possono ascoltare.
“Per chi non vuol perdersi nel buio della notte” – era stato, infatti, il motto dell’Architetto.
Anche Ariel, o meglio le polveri che restano di Ariel, partecipano di quella melodia.
È una musica così adorabile che sembra fatta per sognare. Bisogna disporsi con tutto l’animo ad ascoltarla; altrimenti non è possibile distinguerla, la notte, tra i rumori del mondo.
Alcune volte, se si è fortunati, accade di ascoltare una musica in cui tutte le stelle dell’Arco, riunite ad Ariel dal vento dello spazio, concorrono.
E’ così che in certe parti del pianeta Terra, dove gli uomini hanno imparato a guardare il cielo e a contarne gli astri, ancora oggi si racconta che quando due persone si vogliono bene e non vogliono perdersi mai, le stelle, dalla loro parte, risuonano più forte.