TRA CULTURA E NATURA
Parchi letterari in Sardegna
Galtellì, nella regione della Baronìa, tra le sponde del fiume Cedrino ed i piedi del monte Tuttavista, è il paese in provincia di Nuoro delle “Canne al vento” che, nel 1912, ispirarono il romanzo con le donne Pintor di Grazia Deledda.
L’autrice nuorese, Premio Nobel per la letteratura italiana, vi trascorreva periodi di vacanza ed ancora oggi, ripercorrendo il parco a lei dedicato, si respira l’atmosfera rurale, si rivivono gli scenari e la cultura pastorale di allora, l’ospitalità e la cura che fanno sentire i visitatori abitanti temporanei del borgo.
Assolutamente da ammirare la chiesa di San Pietro, antica basilica medievale edificata tra XI e XII secolo, nella quale è venuto alla luce un ciclo pittorico di affreschi di richiamo bizantino, tra i più antichi ritrovati in Sardegna, ed il Cristo a grandezza naturale di probabile Scuola Pisana sull’altare della chiesa del Santissimo Crocifisso, al centro del borgo, venerato per numerosi atti miracolosi documentati dagli atti ufficiali a partire dal Seicento.
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Ma il fascino di questo piccolo borgo è dovuto, soprattutto, alla vita di comunità ed alla sua peculiare urbanistica, caratterizzata dalla presenza di case padronali appartenute alle famiglie nobiliari galtellinesi.
Tra queste abitazioni, la settecentesca “Sa Domo e sos Marras” è divenuta sede del museo etnografico del borgo e, negli spazi intorno al cortile acciottolato, custodisce le testimonianze della vita agricola ed artigiana di un tempo.
La penna di Grazia Deledda riporta sulla carta tratti marcati, si spinge nella Barbagia di Ollolei, corre lungo i fianchi del massiccio Gennargentu, attraversa il Supramonte fino al Golfo di Orosei. I luoghi deleddiani fanno scoprire una delle zone più interessanti e ricche di storia della Sardegna.
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La casa della scrittrice è diventata Museo deleddiano, nel quartiere storico San Pietro; nella chiesa della Solitudine si trovano le sue spoglie.
Sul colle Sa Tanchitta si erge la Cattedrale di Santa Maria della Neve di cui parla ne “La giustizia”. Sul monte Ortobene, vi è la Chiesa di Nostra Signora del Monte, dove la Deledda ambienta “Il vecchio della montagna”.
Tappa finale alla chiesetta Valverde, alle pendici del monte, descritta in “Canne al vento”, il romanzo che la consacrò.
“Ecco ad un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco di una collina simile ad un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del castello. L’occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico, roseo di sole nascente, la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore” (Canne al vento).
Chi ha letto il famoso libro non potrà che chiedersi dove si trovi la Chiesa di Nostra Signora del Rimedio dove si tiene la festa omonima descritta nel romanzo: basta raggiungere la periferia di Orosei, è qui che ogni seconda domenica di settembre, fin dal 1700, per tre giorni si svolge questo evento a cavallo tra il sacro ed il profano.
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Seconda tappa Lollove, un borgo che ha saputo mantenere il fascino di un tempo, scenario di un altro importante romanzo, “La madre”; per poi visitare Bitti, con la Chiesa di San Giovanni ed il Santuario di Nostra Signora del Miracolo; mentre in “Elias Portolu” Deledda descrive il percorso che conduce i fedeli al Santuario di S. Francesco sul Monte Albo, a pochi km da Lula, soffermandosi in particolare sul meraviglioso panorama del tratto che attraversa il monte e guarda alla Baronia.
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Ci si sposta infine a Fonni, alla pendici del Gennargentu, unica stazione sciistica della Sardegna che, con il santuario, il convento ed il magico panorama che si gode dalle cime di Bruncu Spina e Monte Spada, caratterizza l’opera “Cenere”.
Molti altri sono gli scorci di Sardegna che “Grazietta” magistralmente ritrae nel susseguirsi delle sue opere, come Orune con la chiesa e la fontana ottocentesca, Mammoiada, Oliena, il Monte Carrasi ed ancora il Monte Gonatre.
Ugualmente affascinanti e suggestivi sono i percorsi letterari del Parco Dessì: itinerari che permettono al visitatore di scoprire i luoghi che hanno ispirato l’opera di Giuseppe Dessì e si snodano in un territorio molto vario e denso di suggestioni, con siti di particolare interesse naturalistico, storico e gastronomico.
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Più di qualunque altro scrittore del Novecento sardo, Dessì ha saputo cogliere e rappresentare nelle sue opere una Sardegna non avvolta dal mito dell’isola selvaggia, ma immersa nella storia; l’esempio più limpido è il romanzo “Paese d'ombre”, vincitore del Premio Strega nel 1972.
Il territorio del Parco Culturale Giuseppe Dessì rappresenta quella zona denominata “Parte d'Ispi” dallo scrittore nelle sue numerose opere e presenta molteplici e singolari realtà. “…Qui sono solo, se voglio, tra la maestà dei monti e la solennità degli alberi. Vi è varietà, vita, espressione, in ogni forma colossale e in ogni filo d’erba, in ogni corolla appassita. Io amo questi luoghi e sento che l’ago della mia bussola, in qualunque luogo io sia, si volgerà sempre a questi monti” (Diari).
L’immaginario dello scrittore sardo spazia tra il ricco patrimonio ambientale, la cultura, le tradizioni, la storia e “preistoria” che fanno dell’isola un mondo affascinante ed a tratti misterioso; questi luoghi arricchiti dalla “magia” letteraria sono tutti visitabili nei paesi del Parco: Arbus, Gonnosfanadiga, Guspini, San Gavino, Villacidro.
Parchi letterari in Sardegna: TRA CULTURA E NATURA
"Le mie radici sono a Villacidro, (…) alle falde delle montagne… Sono perciò un sardo dell'interno, (…) Io potrei aver girato il mondo come un mercante di Mille e una Notte, … ma Villacidro è la mia patria. (…) A Villacidro ho trascorso gli anni più belli e più liberi della mia adolescenza…" (Un pezzo di luna).
La visita di Villacidro, paese natale di Dessì, inizia con una capatina a Sa Spendula, una cascata che si tuffa in uno specchio d’acqua sottostante, da cui parte un piccolo ruscello, fonte di ispirazione per il poeta Gabriele D’Annunzio che nel 1882, in visita nel paese, le dedicò una poesia.
Molto suggestivo è l’antico lavatoio: al di sotto della tettoia metallica di copertura si trovano le antiche ed autentiche vasche in pietra presso cui le massaie si recavano per lavare il bucato. Poco distante si trova la Chiesa di Santa Barbara, dedicata alla patrona della città, la più grande delle tre che si affacciano sulla piazzetta (le altre due sono la Chiesa della Anime Purganti e di Nostra Signora del Rosario).

Al centro di Piazza Zampillo, si trova una statua della Madonna eretta al centro di una fontana. Da qui, tutto intorno, si diramano i vicoli del centro storico che, aggrovigliati e stretti, costituiscono il cuore antico di Villacidro.
“In fondo si vedeva la campagna fatta di dune di sabbia coperte da fitti cespugli, e il mare di un intenso azzurro, che si schiariva in un verde trasparente, ben delimitato, oltre il quale, in una lontananza stellare, si intuiva un irraggiungibile orizzonte” (Paese d’Ombre).
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Il punto di forza di Arbus è la zona costiera con la sua affascinante natura selvaggia e le spiagge meravigliose. A pochi chilometri si trova la località Torre dei Corsari, che prende il nome dall’antica Torre di Flumentorgiu del XVII secolo.
Straordinaria la potenza naturale delle dune di Piscinas, acque smeraldo che s'infrangono sulla battigia dorata. Da segnalare inoltre il Museo del Coltello Sardo. Di grande interesse il Parco Geominerario con le miniere di Ingurtosu e Montevecchio. Le prime fanno parte dell’area mineraria del territorio da cui si estraevano piombo e zinco: la diga dei Fanghi, gli edifici di Sciria, la Laveria, tutto racconta di un’epoca fatta di sudore e lavoro in quella che è ancora la struttura originale del 1887.
Suggestiva anche la miniera di Ingurtosu accanto alla quale sorge anche un villaggio che può essere visitato. Dal punto di vista ambientale si registra la presenza di piante di rosmarino e ginestre selvatiche.
Nel territorio di Arbus si possono ammirare numerosi animali come il cervo Sardo, l’aquila Reale, il falco Pellegrino e la variopinta pernice Sarda.
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“…A gennaio, nelle mattine chiare e fredde una pianta che sovrasta la siepe gli dava qualche oliva nera per tingere di sanguigno la fetta di pane dorata con il suo succo amaro e salutare. In autunno arrostiva qualche fungo, qualche lumaca. Tutt'intorno, a giro d'orizzonte, non c'era un'anima" (Un pezzo di Luna).
Gonnosfanadiga, immerso in uno spettacolare contesto ambientale, noto per prodotti d’eccellenza, tra cui l’olio d’oliva, si adagia ai piedi del granitico rosa e grigio monte Linas, in un parco naturale multiforme ed incontaminato, che comprende anche il massiccio calcareo del Marganai, l’altopiano di Oridda e la rigogliosa foresta di Montimannu. Restano affascinanti architetture industriali, varie miniere dismesse, tra cui in particolare quella di molibdenite di Perd’e Pibera, oggi bellissimo parco.
Famosi anche i manufatti di legno, sughero, ceramica, tessuti, ma soprattutto la bravura dei maestri coltellinai di Gonnos. Tra gli edifici di culto spicca la parrocchiale di Santa Barbara, in cui si conserva una campana del 1388 ed una cappella laterale con volta a crociera; di grande importanza storica è anche la chiesa di Santa Severa. Di età nuragica la testimonianza principale è la tomba di Giganti di San Cosimo, tra le maggiori costruzioni megalitiche in Sardegna, con esedra semicircolare di ventisei metri, dove si apre l’ingresso alla camera tombale, lunga venti metri.
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"… Queste miniere sono sempre state la disgrazia della Sardegna. Attirano i forestieri con la prospettiva di facili ricchezze e non sono di nessuna utilità ai sardi. Senza le miniere noi avremmo ancora le nostre foreste" (Paese d’Ombre).
Guspini è posizionato in una conca alle pendici della sistema collinare Monte Santa Margherita-Su Montixeddu. Da vedere numerosi edifici, tra cui la Chiesa di Santa Maria di Malta, fondata in origine dai cavalieri dell’omonimo ordine, mentre il centro storico presenta caratteristiche di origine alto-medievale. Poco distante dall’antico mulino, si trova una sorgente dalla quale ancora oggi sgorga l’acqua proveniente dal terreno sotto le montagne, la Mitza di Santa Maria.
Merita una tappa la chiesa parrocchiale dedicata a San Nicolò, edificio massiccio realizzato in stile tardo gotico, che presenta notevoli particolari scolpiti ed un grande rosone sulla facciata, e la Casa del Minatore, che fungeva da ufficio presso il quale si teneva la registrazione di tutte le attività che si svolgevano nelle miniere di Montevecchio.
In un parchetto molto panoramico dal quale si domina l’intero paese, si possono ammirare i basalti colonnari, strutture a canne d’organo di basalto conosciute come Cuccur’e Zeppara.
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"…Alla stazione di Acquapiana, quando il treno cominciò a rallentare e il serbatoio dell'acqua, simile a un grande pozzo pulpito, e il giardinetto coi fiori bruciati dal vento intorno allo zampillo secco apparvero dietro gli eucalipti. Il desiderio di vedere e baciare il viso di Elisa mi destò repentinamente dalla mia fantasia…" (San Silvano).
San Gavino Monreale, il cui nome deriva dall’insediamento dei primi abitanti intorno al villaggio di Nurazzeddu, che conteneva una piccola chiesa dedicata a San Gavino, presenta una struttura urbanistica che richiama ai centri a cultura agricola, con le tipiche case campidanesi, molto grandi e con ampi cortili ed ingressi ad arco. Possiede un centro storico molto interessante da vedere, nel quale possono essere visitate delle antiche costruzioni fatte col “ladiri”, antico materiale che rendeva così caratteristiche e suggestive queste case.
Sin dalle sue origini, San Gavino Monreale ha sempre improntato la sua economia verso le attività agricole, in particolare è molto famoso lo zafferano, il cosiddetto “Oro Rosso” di San Gavino. Tuttavia, il paese rappresenta un’attrazione anche per chi ama l’archeologia industriale: la fonderia, oramai quasi totalmente in disuso, permette di ammirare le forme e l’architettura industriale dei primi dello scorso secolo. .
Nel suo centro storico è inoltre possibile visitare il museo “Sa Moba Sarda”, che racchiude tante testimonianze (foto, oggetti e strumenti) della cultura agricola che ha caratterizzato il centro sino agli anni Venti, quando iniziò il processo di industrializzazione.